Rassegna Stampa 2018

Con “Archi a duello” l’anteprima del Festival di Musica da Camera di Napolinova propone un trio di caratura internazionale

Nella Sala dei Baroni del Maschio Angioino ha avuto luogo l’anteprima della diciannovesima edizione del Festival di Musica da Camera, rassegna organizzata dall’Associazione Napolinova e affidata alla direzione artistica del maestro Alfredo de Pascale. Protagonisti di questo prologo, tre prestigiosi artisti, Gabriele Pieranunzi (primo violino di spalla del Teatro San Carlo di Napoli), Fabrizio Falasca (spalla dei primi violini della Philharmonia Orchestra di Londra) e Francesco Fiore, viola solista del Teatro dell’Opera di Roma. La serata si è aperta con il Gran duo in re maggiore per due violini, primo dei tre du etti dell’op. 39, appartenenti alla produzione di Louis Spohr (1784-1859), autore tedesco oggi noto soprattutto come direttore d’orchestra e violinista. Il successivo Duo n. 1 in sol maggiore per violino e viola KV. 423 di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), risaliva al 1783, data del provvisorio ritorno del compositore a Salisburgo, dove il suo grande amico Michael Haydn, fratello del celebre Franz Joseph, ricopriva il ruolo di maestro di cappella alla corte dell’arcivescovo Hieronymus von Colloredo. Quest’ultimo aveva commissionato sei duetti ad Haydn che , dopo averne composti quattro, si fermò per problemi di salute e la tradizione vuole che sia stato proprio Mozart, venuto in suo soccorso, a completare la raccolta. Ciò spiegherebbe la presenza, nel c atalogo di Haydn, di quattro duetti e, in quello di Mozart, di due (quello proposto in concerto e il n. 2 in si bemolle maggiore KV. 424). Con un salto di un secolo e mezzo si arrivava alla Sonata in do maggi ore per due violini, op. 56 di Sergej Prokofiev (1891-1953), scritta durante il soggiorno francese, in seguito ad una commissione della associazione parigina “Le Triton”, nata nel 1932 con lo scopo di diffondere la musica cameristica contemporanea. La sonata, che fu eseguita al concerto inaugurale della stagione 1933, da Samuel Dushkin e Robert Söetans, rappresenta una pagina molto particolare di Prokofiev, per l’organico scelto, per lo stile, che inizia a distaccarsi da quello giovanile, sebbene non ne ripudi completamente l’essenza (al punto che venne definita “lirica, briosa, fantastica e violenta” dal figlio Sviatoslav) ed anche per il periodo in cui fu composta, in quanto l’autore di lì a poco sarebbe ritornato in Russia dopo 15 anni di forzata assenza. Era poi la volta di un connubio fra barocco e fine Ottocento, la Passacaglia in sol minore su un tema di Georg Friedrich Händel per violino e viola del norvegese Johan Halvorsen (1864-1935). Risalente al 1897, si basava sul noto motivo haendeliano, ultimo movimento della Suite in sol minore n. 7 HWV 432, che i telespettatori italiani di una certa età ricorderanno, in quanto era fra i motivi che accompagnavano, fino agli anni ’80, gli intervalli della RAI. Non poteva mancare un omaggio a Niccolò Paganini (1782-1840) cons istente nella trascrizione per due violini e viola, curata da Francesco Fiore, del primo movimento (allegro maestoso) del Concerto in si minore n. 2, op. 7 per violino e orchestra, che curiosamente venne composto proprio a Napoli nel 1826. Il concerto si chiudeva co n una versione appositamente creata per il trio da Francesco Fiore, di Liebeslied e Liebesfreud, due famosi pezzi di Fritz Kreisler (1875-1962), virtuoso violinista austriaco la cui fama è legata soprattutto ai diversi brani, ispirati ad autori del passato, creati intorno agli anni ’10 del Novecento, da lui spacciati inizialmente per originali. Un tranello nel quale caddero schiere di musicologi che, quando Kreisler r ese nota la verità, si adirarono fortemente nei suoi confronti. Veniamo ora agli interpreti di un concer to estremamente corposo, per sottolineare innanzitutto il rischio insito in casi come questi, scherzosamente ma non troppo evocato nel titolo, legato al fatto che il confronto può portare a situazioni dove c’è chi vuole prevalere sugli altri, in particolare se fra il più giovane (Falasca) e gli altri due (Pieranunzi e Fiore), il divario risulta di circa venti anni. Ciò non è accaduto in quanto gli esecutori, oltre alla bravura che li contraddistingue, h anno evidenziato un rispetto reciproco ed un notevole affiatamento, dando vita ad una splendida sinergia, il cui apice è stato toccato nella parte finale del programma, dove era coinvolto l’intero terzetto. Pubblico numeroso, nonostante una serata gelida, che ha apprezzato i protagonisti, salutandoli con applausi scroscianti, degna conclusione dell’ottimo prologo di una rassegna che, a partire dal prossimo gennaio, porterà a Napoli altri artisti di fama internazionale.

Nicola Ormando grande interprete di Bach e Chopin al Festival Pianistico di Napolinova

Nel recente Maggio dei Monumenti, incentrato sulla figura di Giambattista Vico, l’Associazione Napolinova è stata l’unica a offrire un articolato programma artistico, sotto il titolo “Vico: la musica per virtuosamente operare”. In tutti i fine settimana, ne lla Sala dei Baroni e nella Sala della Loggia del Maschio Angioino, si sono alternati la XX edizione del Festival Pianistico ed i due cicli “Il Festival incontra i giovani” e “Sabato in Concerto”, che hanno ospitato sia nomi famosi che musicisti emergenti. In tale ambito si è esibito anche il pianista Nicola Ormando che, nella Sala dei Bar oni, ha proposto il recital “L’origine e l’apoteosi”, rivolto a brani di Johann Sebastian Bach (1785 – 1650) e Fryderyk Chopin (1810-1849). Del primo sono state eseguite le Quindici invenzioni a 3 voci (Sinfonie) BWV 787-801, la cui lunga storia parte nel 1720, quando Bach scrisse, per il figlio primogenito, il Clavierbüchlein für Wilhelm Friedemann Bach, oggi conservato nella biblioteca statunitense di Yale. Esso conteneva 60 brani, fra i quali i trenta conclusivi costituivano i Preamboli e le Fantasie, entrambi costruiti su una scala ascendente ed una discendente, partendo dal do maggiore ed arrivando al do minore, per un totale di quindici tonalità (otto in maggiore e sette in minore). La raccolta conseguì il suo scopo, che era quello di avvicinare alla musica un bambino di poc o più di nove anni, per cui Bach volle adattare i trenta pezzi per proporli anche ai suoi allievi di età maggiore. Nel 1723 c ompletò quindi un manoscritto, presentato sul frontespizio come «Metodo efficace con cui si presenta in forma chiara agli appassionati del clavicembalo e soprattutto a coloro che sono desiderosi di apprendere, non soltanto come si suona correttamente a due voci, ma anche come si può arrivare, man mano che l’allievo progredisce, a far buon uso di tre voci obbligate e ottenere così non soltanto delle buone invenzioni, ma poterle pure bene eseguire e soprattutto acquistare l’arte del cantabile e il gusto della composizione » Il numero delle composizioni, com e abbiamo visto, era uguale, ma furono ribattezzate Invenzioni e Sinfonie (rispettivamente a due e tre voci, poi catalogate BWV 772-786 le prime e BWV 787-801 le seconde), la scala divenne unica e ascendente, e nella successione delle tonalità, quella maggiore si alternava alla corrispettiva minore, secondo la stessa concezione utilizzata nel dare vita ai coevi preludi e fughe che costituivano “Il clavicembalo ben temperato”. Senza aggiungere ulteriori approfondimenti (con Bach è facile perdersi in mille rivoli), va ricord ato solo che il termine sinfonia è qui adoperato nell’accezione di insieme musicale, mutuato dal termine greco, riferito alla presenza contemporanea di tre linee melodiche (definite voci). Voltiamo pagina e, con un salto di circa un secolo, entriamo nel territorio chopiniano. Il maestro Ormando ha voluto scegliere tre brani, rappresentativi di altrettanti gen eri, creati dal grande autore polacco, o da lui portati ad un apice mai più raggiunto. E’ il caso, ad esempio, dello scherzo, che progressivamente si sos tituì al minuetto come terzo movimento nella sinfonia e nella sonata, divenuto grazie a Chopin un genere a sé stante. Al proposito abbiamo ascoltato il n. 2 in si bemolle minore, op.31, risalente al 1837 e de dicato alla contessa Adèle de Fürstenstein. Anche gli Improvvisi, pezzi d’ intrattenimento salottiero, fra i cavalli di battaglia di Schubert, raggiunsero con Chopin un elevatissimo livello, come si può constatare ascoltando l’Improvviso in la bemolle maggiore, op. 29, concepito nel 1837, la cui dedicataria era la contessa Caroline de Lobau. Per non parlare della Polacca, che originariamente era una danza e progressivamente si trasformò in genere musicale, che in Chopin trovò il massimo esponente. Estremo esempio è rappresentato dalla Polacca–Fantasia in la bemolle maggiore, op. 61, datata 1846 e dedicata ad una allieva di grande spessore quale Anne Veyret, pezzo che sorprese negativamente critica e pubblico, in quanto caratterizzato da un’arditezza troppo in anticipo sui tempi. Veniam o quindi a Nicola Ormando, interprete appartenente a quegli artisti che suonano esclusivamente per passione, in quanto altra risulta la loro attività principale. Nei secoli scorsi erano definiti dilettanti, nel senso che si dedicavano alla musica con diletto, o amatori, ma entrambi i vocaboli sono oggi utilizzati in senso fortemente dispregiativo, per cui attualmente non esiste un termine che possa identificare in modo soddisfacente la categoria. Eppure sono sovente allo stesso livello di chi ha scelto la carriera artistica, e il maestro Or mando risulta sicuramente fra questi, come abbiamo potuto constatare anche durante il suo recente concerto, contraddistinto dalla proposizione di brani di grande interesse, come quelli bachiani, poco conosciuti e ancor meno eseguiti in pubblico. Nel complesso, un intrigante confronto fra l’origin e (Bach) e l’apoteosi (Chopin), lungo le quali il pianista si è mosso, dando lustro ad entrambe, con grande soddisfazione dei numerosi spettatori presenti, che alla fine hanno lungamente applaudito il musicista. Quest’ultimo si è quindi accomiatato con la celeberrima Polacca op. 53, eseguita come bis, suggello dell’apoteosi chopiniana, nell’ambito di un recital di elevato spessore.

Con i giovani pianisti del master di Antonio Pompa-Baldi si concludono i “Pomeriggi in Concerto d’Estate”

Come da tradizione, il concerto conclusivo dei “Pomeriggi in Concerto” dell’Associazione Napolinova, rassegna affidata alla direzione artistica di Alfredo de Pascale, ha avuto come protagonisti i partecipanti al master internazionale tenuto da Antonio Pompa-Baldi, celebre pianista foggiano, trapiantato a Cleveland. Nella Sala Chopin, situa ta all’interno degli spazi espositivi della ditta Alberto Napolitano pianoforti, si sono succeduti sei giovanissimi interpreti, iniziando da Irene De Filippo, che ha interpretato con notevole sensibilità l’Intermezzo n. 2 in la maggiore di Johannes Brahms (1833-1897), dai Sei pezzi, op. 118, raccolta pianistica completata nel 1893 e dedicata a Clara Schumann. Di grande spessore anche l’esecuzione di Pasquale Evangelista, confrontatos i con la Ballade op. 19 in fa diesis maggiore, scritta nell’estate del 1879 da Gabriel Fauré (1845-1924), con dedica a Saint-Saëns, che fu la principale figura di riferimento lungo l’intero suo percorso artistico. Era poi la volta di due cinesi He Muling e Zhao Jingxiao, quest’ultima trapian tata negli USA, che nella vita di tutti i giorni svolgono altre attività e quindi possono essere considerati degli “amatori” di alto livello. Il prim o ha eseguito Waldesrauschen (Mormorio della foresta), dai Due studi da concerto, S.145 di Franz Liszt (1811-1886), completati dall’autore ungherese a Roma nel 1863 e destinati agli studenti di pianoforte della Scuola Musicale di Stoccarda, nata nel 1857, che aveva fra i fondatori gli amici Sigmund Lebert e Ludwig Stark e tra i docenti il suo allievo Dionys Pruckner. Zhao Jingxiao ha invece proposto due degli Studi, op. 10 di Fryderyk Chopin, il n. 1 in do maggiore, di reminiscenza paganiniana ed il n. 12 in do minore, noto come “La caduta di Varsavia” (o, secondo Liszt, “Il Rivoluzionario”), creato dal musicista nel 1831, dopo aver appreso con sgomento che l’insurrezione polacca nei confronti delle truppe zariste era fallita. Penultima ad esibirsi, Maria Hanneman Vera, talento dodicenn e proveniente dal Messico, che si è molto ben destreggiata fra lo Studio op. 25 n. 2 in fa minore di Chopin e il lisztiano Die Lorelei, brano che conobbe diverse versioni (per voce e pianoforte, e per pianoforte solo), in un lasso di tempo compreso fra il 1841 e gli inizi degli anni ’80 dell’Ottocento. Chiusura con il versatile Gabriele De Feo, passato dal Rondò capriccioso, op. 14, che Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) compose nel 1824, al Basso ostinato, ultimo dei Sei pezzi per pianoforte solo, concepiti fra il 1954 ed il 1961 dal russo Rodion Shchedrin (1932). Nel complesso, a prescindere dalla minore o maggiore bravura ed esperienza, i partecipanti si sono rivelati tutti di livello molto al di sopra della media. Anche stavolta, inoltre, ci ha colpito la precisa vol ontà di ogni pianista di trasmettere qualcosa alla platea, non limitandosi a suonare senza errori i differenti brani proposti. Sembrerebbe un’affermazione banale, ma chi in questi ultimi anni, com e il sottoscritto, ha avuto la possibilità di ascoltare tanti giovani pianisti, sa che il settore attraversa da noi una certa crisi, non tanto di talenti, quanto di esecutori capaci di liberarsi di un tecnicismo esasperato che ha ormai preso il sopravvento. E da questo pu nto di vista, un concerto del genere, teniamo a ribadirlo, riconcilia con un pianismo che sembra ormai appartenere esclusivamente al passato, e di questo bisogna dare atto sia agli interpreti sia al maestro Pompa-Baldi. Spettatori numerosi, nonos tante la giornata torrida, che hanno potuto godere della presenza del condizionatore in sala, anche se tale beneficio si è trasformato in accanito oggetto di discussione, fra i fautori delle diverse temperature. In conclusione, un ottimo pom eriggio di musica, con alcuni pianisti da tenere particolarmente d’occhio, perché prossimamente sentiremo sicuramente parlare di loro, così come già è avvenuto per molti protagonisti delle edizioni precedenti.

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